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maggio 21, 2020 - Tutto Food

Tra riaperture, online e delivery la logistica sarà una grande sfida

Durante l’emergenza non è mancato mai nulla dagli scaffali. Ma adesso la logistica alimentare deve riorganizzarsi in vista di cambiamenti permanenti: dal boom dell’e-commerce ai nuovi modelli fuoricasa.

Tra riaperture, online e delivery la logistica sarà una grande sfida

La logistica dell’alimentare ha superato la prova del Covid. Durante la fase acuta del lockdown non sono mai mancati nei punti vendita rimasti aperti i prodotti, anche quelli non di stretta necessità. Un risultato non scontato e che va riconosciuto a tutta la filiera, dai magazzinieri agli autotrasportatori, dai picker agli scaffalisti, ai pianificatori di carichi e percorsi. Un risultato che però a stato raggiunto sacrificando l’efficienza. Da un lato la temporanea “sparizione” di molti destinatari di merce, all’estero e in Italia – gli esercenti singoli ma soprattutto l’intero Ho.Re.Ca. – dall’altro la crescita nelle richieste di molte merci combinata con il contemporaneo crollo di altre (due esempi: uova +45%, latte fresco -25%) ha portato a un’esplosione dei viaggi a vuoto.

La logistica alimentare dovrà ridisegnare le proprie reti. Probabilmente ancora per diverso tempo l’Ho.Re.Ca. non sarà una destinazione come lo era prima della crisi, riducendo i punti di consegna ma anche il lavoro per chi si era specializzato a servirla, pensiamo al settore della logistica delle bevande. Nel Retail è probabile si incentiveranno i negozi di prossimità, sempre compatibilmente con le norme di distanziamento e sanificazione. E il tentativo di spostare verso l’e-commerce e l’home delivery la spesa nel negozio multicategoria o nella GDO potrebbe essere limitato dalle piattaforme logistiche: non ci sarebbero abbastanza picker e trasportatori per reggere l’aumento degli ordini.

“Per quanto riguarda il fuoricasa, una prima impressione sembra suggerire che la paura generata dall’emergenza non passerà troppo rapidamente e che per un po’ di tempo molta gente preferirà non andare a mangiare fuori, anche quando potrà farlo – commenta Marco Comelli – Segretario generale di OITA - Osservatorio Interdisciplinare Trasporto Alimenti –. È ancora presto per delineare una direzione, ma sembra realistico prevedere che una percentuale significativa di bar e ristoranti non riaprirà e questo comporterà una profonda riorganizzazione dei percorsi. Diventerà più difficile ottimizzarli evitando i rientri a vuoto, come si faceva in passato, e questo, insieme alle ulteriori misure di sicurezza che si dovranno adottare, farà probabilmente aumentare i costi”.

In queste settimane si è parlato molto di home delivery come soluzione al problema ma, osserva Comelli: “Appare improbabile che il delivery possa colmare del tutto questo calo. L’entità di un ordine di home delivery va da un trentesimo a un cinquantesimo di quella di una consegna-tipo a un pubblico esercizio e comporta delle ulteriori complessità: ad esempio, occorre mantenere la temperatura intorno ai 76°C per evitare da un lato la riattivazione della carica batterica, se più bassa, o un proseguimento della cottura, se più alta, e più il piatto è elaborato e più queste condizioni sono stringenti. Questo influisce sui costi, senza considerare che una delle motivazioni principali per mangiare fuoricasa è, ovviamente, la convivialità che in questo caso va persa”.

“Anche nella grande distribuzione le misure di distanziamento appaiono di difficile applicazione. Si è parlato ad esempio di corsie più ampie e a senso unico nei supermercati, ma questo avrebbe un grosso impatto sulla quantità di clienti che possono essere presenti contemporaneamente e anche sui comportamenti d’acquisto (se mi sono dimenticato un prodotto, è più probabile che rinunci ad acquistarlo piuttosto che rifare tutto il giro per tornare a prenderlo). Nella ristorazione sembra prendere piede la soluzione della ghost kitchen, la cucina fantasma a distanza che, centralizzando alcune funzioni, ridurrebbe i costi e potrebbe essere una risposta alla sostenibilità economica dei locali anche con riducendo i coperti”.

Difficilmente durante un evento catastrofico emergono nuove tendenze di lungo periodo, ma sicuramente spesso le emergenze hanno il potere di rafforzare tendenze già in atto. È il caso delle aziende di ristorazione che non hanno una sala ma lavorano direttamente per il delivery. Il fenomeno è nato intorno al 2014-2015, con il boom del food delivery, e già ha generato diverse sottocategorie secondo il modello operativo e di business seguito. Si parla così di cloud kitchen nel caso in cui un operatore immobiliare realizzi uno spazio di coworking attrezzato per due o più ristoratori che si impegnano a lavorare per una o più piattaforme di delivery ognuno con la sua insegna; ghost kitchen, se un ristoratore realizza una cucina dove fornisce con propri marchi/insegne le piattaforme di delivery oppure consegna in proprio. Una dark kitchen, invece, è gestita da un ristoratore tradizionale che dedica uno spazio al delivery, come durante il lockdown, mentre in una virtual kitchen un marchio o insegna affermato entra in un mercato dove non è presente tramite un accordo di franchising. Come saranno i ristoranti post-Covid? Nessuno lo sa ma questi esempi di nuovi concetti sicuramente avranno un loro spazio e la riorganizzazione della logistica alimentare dovrà tenerne conto.

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