Cookie Consent by Free Privacy Policy website FAI - “il corpo del vuoto”
maggio 02, 2016 - FAI

FAI - “il corpo del vuoto”

Le installazioni site-specific di Davide Pizzigoni

dialogano con gli spazi di Villa Necchi per mostrare e dare forma al vuoto



Villa Necchi Campiglio - Via Mozart 14, #milano ­­

da giovedì 12 maggio a domenica 12 giugno 2016

Il FAI - Fondo Ambiente Italiano ospita da giovedì 12 maggio a domenica 12 giugno 2016 a Villa Necchi Campiglioa Milano la #mostra “Il corpo del vuoto”,con dodici installazioni site-specific di Davide Pizzigoni che raccontano la sua ricerca artistica, iniziata nel 1995, sul corpo dello spazio vuoto, su ciò che sta tra le cose.

Nelle opere di Pizzigoni - architetto, designer, pittore, fotografo e scenografo - la realtà, fatta di cose, viene rovesciata ed è vista come in un negativo fotografico: il vuoto diventa pieno, il pieno semplicemente sparisce, è interessante solo come mezzo rivelatore del vuoto. Il vuoto viene quindi rappresentato attraverso un lavoro sul “limite” che lo definisce.

Le installazioni esposte sono state ideate, scelte e realizzate da Davide Pizzigoni per dialogare con lo spazio e con la vocazione dei luoghi in cui sono collocate. «Ho fatto molti sopralluoghia Villa Necchi Campiglio – racconta l’artista - prima di decidere la posizione dei lavori, costruendo delle sagome in cartoncino per indagare più a fondo il rapporto tra l’opera e il luogo. Mi interessava mostrare che il vuoto non è un’assenza, un intervallo, ma al contrario ha un corpo, plastico, tridimensionale anzi con una quarta dimensione, quella del tempo necessario a percorrerlo e abitarlo».

Le opere in giardino hanno come riferimento la natura e l’architettura esterna dell’edificio. L’elemento unificante è lo specchio, materiale in grado di mostrare un’ulteriore realtà in cui le parti – ovvero le cose e il loro riflesso - si scambiano, per poi unirsi e quindi nuovamente scambiarsi, come in una danza. Ha un valore programmatico la prima opera che si incontra: un tappeto costituito da frammenti di specchio che riflettono la chioma degli alberi e tra i quali affiora il prato.

Le installazioni pensate per l’interno si confrontano invece con gli interventi dell’uomo - ovvero le fratture costituite dalle cose, che interrompono la continuità dello spazio, e dalle aperture, porte e finestre che negano la conclusione dello spazio - e mirano a rendere evidente la presenza fisica del vuotoe come la sua descrizione abbia bisogno di una quarta dimensione, quella del tempo necessario a percorrerlo, attraversarlo, viverlo e condividerlo. A partire dalla struttura senza peso e quasi invisibile appesa nella hall sopra la scultura L’amante morta di Arturo Martini, in grado di intercettare lo sguardo, per continuare poi conle carte ritagliate disposte senza ordine nell’office che sembrano galleggiare in aria e che, se guardate girandogli intorno, diventano disegni tridimensionali. E ancora, nello spazio espositivo del sottotetto l’opera CHRST con la quale l’artista riproduce, attraverso l’uso di pannelli, il Cristo morto nel sepolcro di Hans Holbein il Giovane, in una sorta di piano sequenza che si sofferma sui frammenti, e infine la “stanza della memoria” con una foto della scenografia creata nel 1995 per Gesualdo allo Staatsoper di Vienna - da cui è partita l’indagine di Davide Pizzigoni sul “corpo del vuoto” - che si specchia con le ultime opere in bianco e nero, oltre a libri, video e documenti che testimoniano un ricerca artistica che dura da oltre 20 anni.